CAPPELLA PALATINA DI PALERMO: la cultura musicale in Sicilia al tempo dell'Emirato. Progetto Muqarnas 7.

CAPPELLA PALATINA DI PALERMO: la cultura musicale in Sicilia al tempo dell'Emirato. Progetto Muqarnas 7.

Questo progetto riguarda l'organologia e la musica della Sicilia durante i tre secoli in cui fu parte del mondo islamico.

La base documentaria dell'organologia sta tutta nella preziosa serie di dipinti del soffitto ligneo "a muqarnas"  della Cappella Palatina di Palermo e nelle poche figure sopravvissute sulle travi del soffitto della cattedrale di Cefalù.

Studiando gli strumenti musicali a corde raffigurati e confrontandoli con le altre fonti provenienti dal mondo islamico, in un'area che va dalla Persia alla Spagna, si può tentarne la ricostruzione.

La problematica  relativa all'assenza di un repertorio musicale altrettanto specifico può essere risolta in due modi: eseguendo le melodie della musica cosiddetta Arabo-andalusa e recuperando relitti musicali individuabili come influenzati dall'arte islamica entro il ricco repertorio delle musiche tradizionali siciliane. 

Quindi, innanzitutto si possono studiare le analogie e le somiglianze tra brani del repertorio arabo-andaluso ancor oggi tramandato nella vasta area che va dalla Spagna alla Siria, e brani della tradizione popolare siciliana attraverso l'analisi della struttura melodica e ritmica dei pezzi.

Un altro metodo per ricostruire questi repertori smarriti, forse addirittura censurati, sarebbe selezionare le canzoni popolari siciliane seguendo due principali indicatori.

Il primo è costituito dalle "parole chiave" di origine araba contenute nel testo. Per esempio gebbia, favara, frastuca, nora, anche se altre, pur di origine araba, come dammusu, balata, zagara, zaffarana, tabbutu, non sembrano ugualmente indicative, perchè divenute di uso molto comune in Sicilia.

Il secondo è il contenuto. Per esempio, la canzone  "Quannu moru ju" (Trapani?)  descrive un rituale funebre fantastico, surreale e trasgressivo. Il finale, che parla di vino forte, è trasgressivo anche nei confronti dell'Islam ufficiale. Altro esempio è fornito dal canto "Visti l'amanti mia" (Noto), in cui il cantore vede la sua amante che si arrampica su ... una palma! per raccogliere datteri. Ora, le palme in Sicilia ci sono tuttora, ma non producono frutti edibili.

Teniamo presente che la cultura araba in Sicilia è stata annientata da una capillare opera di censura, da una sistematica distruzione delle tracce materiali, dalla persecuzione religiosa operata dal fanatismo cattolico. Se però fosse vero che gran parte della popolazione siciliana entro la metà del secolo XI era diventata musulmana e che il mondo contadino e artigiano si era avvantaggiato dei progressi e delle novità provenienti dal medio oriente e da al Maghrib, l'attaccamento a quelle tradizioni rimase tangibile nella terminologia agricola, nelle tecniche della ceramica, nell'onomastica, nella toponomastica e nella gastronomia. Per non parlare della genetica, di molti tratti della mentalità e del costume che sembrano avvicinare così sensibilmente i siciliani ai maghrebini, complice certamente il comune affacciarsi sullo stesso mare, la somiglianza del clima e delle   attività di base.

 Lavorando attentamente su tutti questi settori si può ricostruire un quadro quanto più dettagliato della vita quotidiana, dell'arte, della cultura della Sicilia all'epoca dell' Emirato ? Riusciremo a farci un'idea dell'ambiente e del clima musicale di quella lontana epoca? Sarebbe davvero affascinante.

 

                                                   

Cattedrale di Cefalù                                                                    Ricostruzione del precedente                                             Cappella palatina Palermo    

                                                                                                                

 

                                                                              

                                  Legno di palma                                                                                                          Cassa in argilla nella forma in gesso

 

                                                                                                                                                                                                      

                                  Rebab con cassa in ceramica e manici in legno di cedro                                 Parte frontale dei precedenti: pelle, ottone, olivo.

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CAPPELLA PALATINA DI PALERMO. Progetto Muqarnas  4.  Oud in legno di palma.

CAPPELLA PALATINA DI PALERMO. Progetto Muqarnas 4. Oud in legno di palma.

L'idea di utilizzare legno di palma per tentare di costruire un Oud, o meglio sarebbe dire Barbat, scavandolo in unico blocco mi è venuta cercando un materiale più conveniente rispetto a quelli comunemente usati nella liuteria medievale, come tiglio, cipresso, acero o addirittura quercia, come nel caso di un Oud costruito con successo, ma con eccessiva fatica,  da un mio collega. Quando ho notato che l'unico albero raffigurato nelle pitture della Cappella palatina di Palermo (sec. XII) era la Palma, pensai di provare, benchè non si abbia notizia del suo utilizzo in nessuna tradizione di liuteria a me nota, nè occidentale nè africana o orientale.

                                                                                                                

 

Ho completato Supponendo che si tratti di Palma da datteri (Phoenix dactilifera) ho cercato dei tronchi e ne ho trovati moltissimi in zona (Randazzo-Etna), poichè molte piante sono state abbattute negli ultimi anni causa l'attacco di un  parassita. La varietà è Phoenix canariensis.

 

                                                                                            

 

La parte esterna del fusto non promette bene, infatti è molle, fibrosa e pelosa, ma più si va verso l'interno e più la consistenza spugnosa lasca posto a una fibra compatta, sebbene intrisa di acqua.

Appena si aprono i tronchi l'acqua comincia a evaporare dalla superficie tagliata, che appare costituita da una fitta serie di fibre allungate di colore crema immerse in un impasto più tenero color nocciola. Scavando il blocco si estrae con facilità il materiale, utilizzando ascia e sgorbie e via via il materiale va rapidamente asciugandosi. 

                                                                                                                                       

     

                                                                                               

 

Per la facilità della lavorazione sembra che la scelta di questa particolare fibra vegetale, che non può propriamente chiamarsi legno, sia dunque plausibile. Pur rimanendo su uno spessore tra 1 e 2 centimetri, il peso della cassa armonica dello strumento, di dimensioni identiche a quelle di un Oud attuale, si aggira intorno a 1 chilo e 700 grammi. La croce interna di rinforzo pesa circa 180 grammi.

Questa croce serve per sostenere al centro la tavola armonica, prevista in pelle di capra, spessore 0.3 millimetri e per evitare che la tensione della pelle possa curvare i bordi della cassa verso l'interno. 

 

 

                                                   

                                                     

 

In questa fase del lavoro la fibra di Palma resiste, presentando qua e là lievi fessure e spaccature, facilmente riempite e saldate con colla organica. Usare la rasiera in acciaio per la rifinitura esterna non da buoni risultati perchè la superficie si segna con solchi trasversali. Carta vetrata e abrasivi creano molta polvere, ma riescono a rendere liscia e omogenea la superficie dell'oggetto. Ho pensato di praticare un foro nella base della cassa, applicando una rosetta decorativa.

A un mese dall'inizio della lavorazione non si nota alcun ritiro del materiale.

Ho alleggerito la croce interna e praticato due fori nella parete superiore per consentire al suono di passare sotto la fascia metallica traforata che copre la giunta cassa-manico, poi ho incollato la pelle di capra, spessore mm. 0.3.

 

                                                           

 

Ho completato il guscio all'esterno con degli intarsi in osso e infine ho applicato una cera naturale colorata come finitura.

La parte anteriore è costituita da una tastiera in Cipresso decorata con un intaglio riempito di stucco nero, da una fascia in ottone intagliata e decorata a sbalzo e dalla tavola armonica in pelle su cui ho riprodotto a china i disegni che si vedono nell'originale. Ho praticato dei forellini, otto per lato, dentro i due cerchi a china. Il ponticello è in legno di Pioppo, la prima corda in seta, le altre in budello naturale. L'accordatura è per quarte: Do sol re la. Il peso totale è di grammi 2100.

                              

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CATTEDRALE DI CEFALU'. Progetto Muqarnas 3.  oud piccolo dai dipinti della cattedrale.

CATTEDRALE DI CEFALU'. Progetto Muqarnas 3. oud piccolo dai dipinti della cattedrale.

Nel 1997 ricevetti incarico dall'associazione culturale "La Corte di Ruggero", nella persona del sig. Giovanni Biondo di Cefalù, di ricostruire uno strumento a corde dai dipinti della Cattedrale della loro città.

Dopo aver studiato le immagini, che risalgono al secolo XII e che da alcuni studiosi vengono attribuite agli stessi artisti che eseguirono le pitture dei soffitti della Cappella Palatina di Palermo, mi resi conto che c'erano due particolari di rilievo: la tavola armonica di colore chiaro senza traccia di fori di risonanza e una fascia scura alla base del manico.

La tavola chiara senza fori è interpretabile come una membrana in pelle, che realizzai utilizzando una pelle di capra come quella dei tamburelli, spessore mm.0,2. La fascia scura, spiegabile come una semplice decorazione, la interpretai all'epoca come uno scalino che consentiva un comodo incollaggio dei bordi della tavola armonica. Questa interpretazione è stata presa in considerazione dal celebre etnomusicologo  Mahmoud Guettat nel suo libro fondamentale intitolato La musique arabo-andalouse, Paris, Les Ouns, 2000, a pag 169.

Oggi ho un'idea diversa a riguardo. La fascia di colore più scuro, presente in tutti gli strumenti a corde di Cefalù e della Cappella palatina di Palermo, assente nelle raffigurazioni di strumenti simili coevi, anteriori e successivi, provenienti da tutta l'area che va dall'Iran fino alla Spagna, era probabilmente una piastra di rame lavorata a sbalzo e forata, oppure in legno, per consentire la fuoriuscita del suono. Si tratta di una caratteristica esclusiva degli strumenti che appaiono nei dipinti siciliani (unica eccezione una raffigurazione egiziana dello stesso periodo, v. raccolta di immagini in: C.Paniagua, El laud arabe medieval).

        

                                       Cefalù                      Palermo                                                                                                                                                                                                                                              

 

Lo strumento, scavato in un solo blocco di Cipresso, con tre cori in budello, venne presentato a Cefalù in una bellissima occasione, creata dal sig. Italo Gomez nell'ambito di un convegno organizzato dall'Università di Palermo. Lo strumento fu suonato da un gruppo di Tunisi, che eseguiva brani della Nuba. Il suono risultava gradevole e potente, apprezzabile anche dai musicisti della tradizione nord africana.

Dopo di allora ne realizzai diversi altri esemplari, richiesti da vari musicisti, mentre il primo fu esposto per alcuni anni all'Osterio magno e in seguito nel Museo della Cattedrale di Cefalù.

 

                                                                   

 

                                                Strumento realizzato nel 1997

 

 L'ultima versione, del 2023, presenta delle novità. Il corpo dello strumento è scavato nel legno di palma e al posto dello scalino c'è una piastra in ottone similoro lavorata a sbalzo e con forature. Le corde sono in budello naturale, tranne i cantini che sono in seta. L'accordatura è una quarta sopra l'Oud: Sol, Do, Fa.

 

 

                                                                             

 

 

                                                                                          

 

                                                                                     Strumento realizzato nel 2023

 

                              

 

 

 

 

 

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CAPPELLA PALATINA PALERMO. Progetto Muqarnas 1. Iconografia musicale

CAPPELLA PALATINA PALERMO. Progetto Muqarnas 1. Iconografia musicale

Abbiamo in Sicilia la più strepitosa raccolta di immagini musicali del secolo XII di tutto il Mediterraneo: i dipinti arabo-persiani della Cappella Palatina di Palermo e della cattedrale di Cefalù.

Dal 1997 studio questi repertori iconografici preziosissimi, confrontandoli con tutti quelli provenienti dai paesi mediorientali, dagli stati nordafricani e dalla Spagna.

L'apporto di tanti specialisti e studiosi di questi paesi mi ha portato ad identificare caratteristiche specifiche degli strumenti a corde siciliani di quell'epoca: Oud (Barbat), Rebab, Qitara.

Tali particolarità mi hanno indotto a effettuare adeguate sperimentazioni nella ricostruzione di strumenti musicali che non sono affatto identici a quelli attualmente in uso nei paesi di cultura araba: Oud, Rebab, Guimbri, Loutar.

Il confronto con tali strumenti, con le prassi costruttive ed esecutive di oggi è certamente imprescindibile, come anche la ricerca sui repertori, di cui abbiamo totale carenza, ma ciò non ha reso inutile la ricostruzione e la sperimentazione al fine di riprodurre gli strumenti raffigurati nel modo più fedele e riproducendo le loro peculiari caratteristiche.

E' così che non abbiamo timore di affermare che veramente esistevano l' Oud siciliano, i Rebab e la Qitara siciliani.

 

 

     

                                               

 

       

La Cappella Palatina del Palazzo dei Normanni di Palermo fu edificata intorno alla metà del secolo XII per iniziativa del re Ruggero II. Famosa per i mosaici che ne adornano tutte le pareti e la cupola, conserva anche  soffitti lignei di gran pregio, finemente dipinti. Il soffitto della navata principale, con struttura alveolare, detta “a muqarnas” è di difficile fruizione, trovandosi a 15 metri di altezza in area poco illuminata. Le decorazioni pittoriche dei due soffitti a trabeazione delle navate laterali sono invece molto più visibili.

Le pitture sono opera di maestranze di scuola “Arabo-persiana”, il cui stile inconfondibile si dispiega su tutte le superfici possibili dimostrando una chiara tendenza all’ “horror vacui”.

Con colori accesi e senza risparmio di motivi decorativi vengono raffigurati personaggi per lo più recanti strumenti musicali, identificabili secondo alcuni con le “Uri” del paradiso islamico, secondo altri con personaggi della Corte. Nei contorni delle stelle ottagonali che costituiscono gli scomparti principali della complessa struttura alveolare vi sono dipinti versetti del Corano in caratteri cufici, che da lontano si prendono per ghirlande e decorazioni.

I pittori, provenienti dal medio-oriente o siciliani, non sappiamo, ritrarrebbero il Paradiso islamico, identificabile però anche con la vita e le delizie della Corte reale.  Le Uri suonano i loro strumenti in magnifici giardini adorni di palme, di tralci di vite con grappoli d’uva e pampini, circondate da vasetti che presumibilmente contengono meravigliosi profumi o liquori. Analoghe a quelle di Palermo sono le pitture che adornano le travi del soffitto della Cattedrale di Cefalù in cui sono ritratti gli stessi soggetti dipinti col medesimo stile. Purtroppo si tratta di pochi frammenti dell’opera originale, situati oggi in un luogo quasi inaccessibile. Dedicò ad essi qualche pagina il prof. Carlo Emilio Carapezza di Palermo sulla rivista Nuove Effemeridi, una trentina di anni fa e una delle immagini da lui pubblicate , quella di una suonatrice di Qitara, diede impulso a un lavoro di ricostruzione dello strumento che mi fu affidato nel 1997. L’esito del lavoro fu spettacolare, con un concerto di musiche del mediterraneo svolto nella Cattedrale di Cefalù, per iniziativa di Italo Gomez. 

Solo successivamente rivolsi la mia attenzione ai dipinti della Palatina, studiando soprattutto i Rebab (cordofoni ad arco) in vista della loro ricostruzione, che negli anni ho effettuato producendo molteplici esemplari in due taglie diverse: piccoli a due corde e più grandi a tre, ma soprattutto sperimentando la costruzione della cassa di risonanza in ceramica, oltre che in legno.

La fortuna di avere incontrato una troupe di archeologi-registi mi permise di avere delle belle immagini dei soggetti musicali della Cappella, altrimenti irreperibili.

Passeggiando sotto le due navate laterali si possono scorgere una serie di musici che suonano degli Oud (liuti arabi). Sono in vesti di colore  bruno-rossiccio con fasce dorate, ritratti a mezzo busto e provvisti di aureole. Questi personaggi sembrano piuttosto “cristianizzati”, rispondono cioè, essendo forse più in vista, a delle convenzioni iconografiche familiari all’arte cristiana, pur restando, nel colore e nella tipologia degli strumenti, uniformi al contesto generale delle pitture. Fa eccezione una splendida suonatrice di Rebab che, in ampie vesti bianche, sedendo a gambe incrociate, priva di aureola, suona con aria estatica il suo slanciato strumento ad arco a tre corde.

Passando a considerare le figure del soffitto centrale, solo disponendo di strumenti di ingrandimento, possiamo individuare numerose suonatrici, di Oud, di Qitara (liuti piccoli), di Rebab a due e a tre corde, e di Salterio (uno solo), più qualche rara raffigurazione di suonatrici di flauto e di percussioni. Qui la postura, gli abiti, gli sfondi, rispecchiano in pieno un’ambientazione e uno stile  medio-orientali, senza concessioni.

Il Liuti (Oud) sono gli strumenti più raffigurati: hanno tutti la medesima struttura, con cassa ovale o piriforme e 5 corde doppie suonate con sottili plettri, cavigliere riverso all’indietro,  decorazioni geometriche.

Seguono le Qitare, versione più piccola, sottile e slanciata del Liuto, con tre corde doppie, suonate a plettro e cavigliere ricurvo adorno di una testa scolpita, di solito ritraente un cane (Cirneco?). La ricostruzione di questo tipo di strumento, con tavola armonica in pelle di capra (la stessa che si usa per i tamburelli siciliani), corpo monoxilo e corde in budello, ha dato risultati sorprendenti: ci si poteva aspettare un suono secco, come nel Banjo, invece il timbro è risultato dolcissimo, senza mancare del giusto volume.

I Rebab a due o tre corde sono da annoverare tra i primi strumenti ad arco raffigurati in Europa. Le tavole armoniche in due colori suggeriscono una fattura in due materiali: legno e pelle.  La forma e il colore degli strumenti, che richiamano da vicino i vasetti alle spalle delle suonatrici, fanno pensare alla possibilità che le casse armoniche, ancorché di legno scavato, potessero essere realizzate in ceramica. La ricostruzione di questi strumenti ha rivelato che quelli fatti in ceramica forniscono un suono potente con attacchi immediati, mentre quelli in legno hanno una sonorità più delicata.

Il Salterio di forma quadrata costituisce un “unicum” tra gli strumenti della Cappella e mostra con chiarezza dei piccoli ponticelli, molto probabilmente mobili, che possono indicare una interessante soluzione per variare a piacimento le possibilità di esecuzione di diverse scale o “maqam”. Di questo strumento ho in progetto una ricostruzione, basata anche sul confronto con i salteri di forma analoga in uso presso i monasteri occidentali e di cui abbiamo numerose raffigurazioni e descrizioni. Non dimentichiamo che le origini di questo strumento sono da ricercare nel mondo medio-orientale in epoca precedente la nascita di Cristo e che successivamente esso entrò a far parte delle tradizioni dei popoli del Mediterraneo diffuse poi nel Continente attraverso la cultura cristiana.

Per quantità e qualità queste raffigurazioni di strumenti musicali  rappresentano una delle più interessanti e generose fonti di informazione organologica per l’Europa del XII secolo, eppure sono ancora poco note anche fra gli addetti ai lavori. Basti pensare che fino ad oggi è stata dedicata loro solo una piccola pubblicazione italiana e un breve articolo in una raccolta francese (1).

Non resta per ora che recarsi “in loco” armati di un buon binocolo per godere lo spettacolo di questa grande enciclopedia degli strumenti musicali della Sicilia dei tempi d’oro.

 

 (1) David Gramit, I dipinti musicali della Cappella Palatina di Palermo, Palermo, Officina di studi medievali, 1986.

Giuseppe Severini, La reconstitution des rebabs d’après les peintures du XII siècle de la Chapelle palatine à Palerme, in: L’instrumentarium du Moyen Age : la restitution du son. Paris, l’Harmattan, 2015.

 

 

                                        

 

          

 

    

       

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